Storie di storia locale: inviate alla redazione le vostre ricerche, ricordi, immagini

Torna Venaria racconta

Una proposta di lettura: il romanzo di Gian Antonio Stella sulle Casermette di Altessano

di Andrea Scaringella

Venaria racconta: sono passati quasi 25 anni. Era infatti l’autunno del 1993 quando la Gazzetta di Venaria pubblicava il primo numero di questo inserto. Lo curavo con la collaborazione di un gruppo di ragazzi, vent’anni appena bagnati, tutti quanti insieme studenti che ci affacciavamo al mondo del giornalismo appassionandoci anche alla riscoperta delle tradizioni di cultura cittadina.

Mensile di appunti, curiosità e ricerche di storia locale, recitava stampato maiuscolo il sottotitolo: si spaziava infatti dagli aneddoti e vicende storiche tramandate oralmente, alle notizie rinvenute scavando con pazienza negli archivi (pubblici e privati), c’erano le rubriche L’angolo dell’antiquario, quella dei Documenti, Venaria nascosta e La macchina del tempo (per le foto più insolite e gli scorci del passato), ma anche gli animati approfondimenti che sollecitavamo sulle prospettive culturali di Venaria nella pagina Il Salotto. Opinioni e dibattiti (memorabile quella sul futuro del “Castello”, adesso “Reggia”…).

Venaria racconta: non erano rari i lettori che entravano in redazione apposta per acquistarne copie, esaurite nel frattempo in edicola, e spesso si ricevevano telefonate dalla Biblioteca civica che reclamava i numeri arretrati per la consultazione, o erano le associazioni a scriverci direttamente per proporre studi e ricerche… Cosa stava capitando? Si viveva senz’altro un momento di fermento nella vita sociale cittadina, c’era una forte domanda non solo di conoscenza rispetto alle tradizioni locali, ma anche di partecipazione, condivisione e confronto su informazioni o scoperte della nostra storia.

Venaria racconta: le uscite con Gazzetta durarono per un paio di anni, ma non finì lì. Oltre al bagaglio di informazioni accumulate (tutt’ora preziose ed utili), rimasero ancora per lungo tempo il metodo ed i rapporti che si erano intrecciati. Con lo stesso spirito (e titolo), ad esempio, la Fondazione Via Maestra presieduta da Giorgio Vincenti organizzò per anni cicli di conferenze serali aperte al contributo di tutti i venariesi, e uscì pure un libro di citazioni titolato allo stesso modo.

Oggi è forse il momento di rilanciare quell’esperienza: i social abbondano spontaneamente di pagine e post interessanti dedicati al “come eravamo”, “chi si ricorda”, “sei di Venaria se…”, ma probabilmente c’è bisogno anche di uno spazio di riferimento riconosciuto e riconoscibile, di uno strumento funzionale affermato che rappresenti un’occasione di nuovo dibattito su questi temi. Venaria racconta.

Per incominciare, provando subito a stimolare racconti e riflessioni, propongo la lettura di un romanzo che ritengo fondamentale per conoscere davvero Venaria, tutta Venaria, le sue dinamiche, le sue contraddizioni, le sue risorse, il suo passato aulico e le sue peculiari vicende novecentesche così emblematiche e rappresentative dello spaccato storico del nostro secondo dopoguerra inoltrato.

Si tratta de Il maestro magro di Gian Antonio Stella (edizioni Rizzoli), una delle firme più prestigiose del giornalismo nazionale, che ha ambientato alle Casermette di Altessano (dove oggi sorge il moderno impianto sportivo Don Mosso) parte del suo racconto. Ci troviamo una galleria incredibile di personaggi (siciliani, veneti, calabresi, pugliesi, romagnoli, piemontesi) ai quali il lettore non può che affezionarsi: irresistibili, esilaranti, tragici e poetici insieme, protagonisti di una storia densa sul tema dell’emigrazione interna italiana dove le vicissitudini di singole vite si intrecciano con la ribalta nazionale.

La vicenda inizia in Sicilia, continua nel Polesine, ma poi tutto cambia, mischiandosi e finendo proprio a Venaria Reale, anno 1961…: «Gli cadde l’occhio su un complesso di palazzine e si chiese perché avessero costruito tutti quei condomini senza piantare un solo albero. Arrivò al Ceronda, si fermò a guardare l’acqua che scorreva […]. Svoltò un angolo e si ritrovò in piazza della Santissima Annunziata, gironzolò sotto i portici barocchi, si ricordò di aver letto che l’architetto l’aveva disegnata con la forma ovale di una bomboniera perché tutti provassero un senso di tenerezza, levò gli occhi alla chiesa della Natività, scartò di lato perché un camion stava per metterlo sotto. Salì per la contrada Maestra fino alla piazza che si apriva sulla Reggia. Si domandò se era giusto lasciare che quella meraviglia cadesse in pezzi…».

Buona lettura!

Foto di Gianni Segato